Eco ansia

di Marianna Meffe

Se la paura di un futuro precario è sempre stata una profonda preoccupazione per i giovani del XXI secolo, di certo l’ultimo anno non ha migliorato le cose. Oltre all’incertezza legata alla pandemia, negli ultimi anni si fa sempre più forte quella forma di paura legata ai rischi comportati dal cambiamento climatico.

Se fino a qualche anno fa potevamo forse ancora nasconderci dietro quell’illusione collettiva secondo la quale “Abbiamo ancora dieci anni per invertire la rotta“, la verità è che più il tempo passa più sembrano ridursi le possibilità di arginare la crisi.

Questo fattore ha generato quel fenomeno ormai noto come Eco-Ansia, la paura cronica della rovina ambientale. E non si tratta affatto della sciocca paura dei “ragazzini del FridaysForFuture che giocano a fare gli ambientalisti” (come vengono a volte definiti), ma di un disagio diffuso, di un malessere trasversale a un’intera generazione, che ne affossa le speranze e uccide in loro lo stimolo ad agire.

Se i ragazzi degli anni 80 potevano divertirsi senza troppi pensieri, perché comunque la vita aveva in serbo tante opportunità e potevano bene o male costruirsi il futuro che desideravano (forse per questo ricordiamo quegli anni con tanta nostalgia), i ragazzi della generazione Z non possono permettersi questo lusso.

 Per molti la barra si pone al 2030: anno malaugurato in cui tutte le scadenze non rispettate torneranno a far sentire la propria voce.

Ma sanno benissimo che non sarà un solo anno a fare la differenza e che la disgregazione sarà un percorso lento e graduale, e per questo più insidioso.

Lo vedono ogni anno, nelle estati sempre più calde, negli incendi che distruggono i boschi, negli allevamenti intensivi che si moltiplicano, nella politica che li tratta con sufficienza, nelle aziende che li trattano da giovani imbelli con il loro greenwashing.

Nella mancanza di un singolo disastroso evento che apra gli occhi a chi ancora non vede e nell’assenza di una volontà politica di commettere uno sforzo collettivo, questa generazione vede il proprio futuro sgretolarsi.

 E di fronte allo scempio lasciato loro in eredità dalle generazioni del passato, quando la coscienza ambientale era roba per pochi, loro si sentono impotenti. Sul filo del rasoio. Come se fosse sempre troppo tardi.

Forse per quello ormai noto come bystander effect, più sono le persone che assistono a una situazione di emergenza, meno queste persone sentono la necessità di agire.

Ci si sente impotenti e delegittimati, non sta a noi singoli risolvere la situazione. Anche se percepiamo l’immane gravità di questo ragionamento.

E se l’intero mondo sta osservando sé stesso andare in fiamme, la risposta immediata è pensare che qualcuno farà qualcosa perché è impossibile che tutto passi inosservato, no?

Il problema è che lo pensiamo tutti.