GENNARO VENTRESCA
C’è qualcosa di patetico nel fatto che m’impegni a riesumare certi episodi del nostro passato quando il tempo li ha sepolti, solo per dare sollievo alla mia memoria. C’è qualcosa di assurdo a recitare tutto d’un fiato le formazioni rossoblù della mia gioventù. Senza rendermene conto ritengo che la confessione scritta sia il miglior rimedio per scongiurare vecchi fantasmi.
Il vigneto e l’alberata di frutta di bassa qualità erano stati tagliati per fare spazio alle nuove costruzioni. Ma, nel frattempo, sfruttammo lo spazio per adibirlo a campo di calcio, in discesa.
***
Sembravamo uomini maturati prima del tempo. Pronti a tirar fuori muscoli e sganassoni nel contestare un gol annullato, un rigore fasullo. Più che ragazzate, le nostre, erano autentiche prepotenze. E il più prepotente di tutti era sempre il padrone del pallone che di fronte a una decisione contestata si riprendeva “l’attrezzo” e ci lasciava sporchi e sudati a chiedergli scusa.
***
Tutti insieme, formavamo un gruppo compatto e per niente consueto. Uno di noi emergeva sugli altri: si chiamava Riccardo, piccolo, bruno, col naso un po’ schiacciato che ostentava i suoi dribbling. Riccardo divideva con i genitori e due fratelli un appartamentino accanto alle cantine, in un edificio fresco d’intonaco dove abitavo. Veniva da un quartiere di Roma, il Prenestino. Ma dopo pochi mesi sparì dal nostro radar.
***
In un certo qual modo Riccardo col pallone tra i piedi esibiva quella dose di abilità e talento con la quale ogni allenatore vorrebbe forgiare una squadra composta con altri dieci uomini duri e spartani, la cui funzione non è altro che quella di mero supporto alla genialità. Riccardo era portentoso con entrambi i piedi e cercava il gol senza timore. Giocava in quella posizione del campo che dalla linea mediana arriva sino alla porta avversaria.
***
Ai mie tempi, un giocatore con queste caratteristiche si chiamava “attaccante di movimento”. Oggi lo si battezza, con un appellativo dalla sintassi infame, “mezza punta”. Valga per tutti Vittorio Esposito la più eloquente espressione di “mezza punta”, grazie ai suoi ornamenti barocchi, dove il dribbling superfluo o il possesso palla sono gli unici argomenti dell’attacco.
***
Quelli del Grande Torino erano tempi in cui valeva il peso della maglia. Ero nato da poco, quando il 4 maggio del 1949 il calcio mondiale patì una delle sue più grandi tragedie: l’aereo su cui viaggiava la squadra granata si era schiantato contro la collina di Superga, poco prima di atterrare a Torino. Non ci furono superstiti. C’erano uomini come Bacigalupo, Rigamonti, Gabetto e Mazzola che figuravano con assiduità tra quelli prescelti per rappresentare la nazionale italiana.