Diritto, gli avvocati molisani Paola Marino e Giacomo Pilla su “Il Sole 24 Ore”

L'intervento dei due legali all'interno della rubrica dedicata all'informazione giuridica del noto quotidiano economico-finanziario

CAMPOBASSO

Due avvocati di Campobasso, Paola Marino e Giacomo Pilla, finiscono su “Il Sole 24 Ore”, noto quotidiano economico-finanziario. In particolare, i due legali – nell’ambito della rubrica di informazione giuridica, “Diritto 24” – commentano un’ordinanza del Tribunale di Vasto del 14 febbraio scorso con riferimento ad un caso riguardante “i nodi irrisolti del pignoramento esattoriale di fitti o pigioni” e che interessò una società immobiliare la cui vicenda ebbe inizio circa 9 anni fa.

Nel corso del 2009, una società immobiliare era risultata destinataria di avvisi di accertamento di maggiori redditi da parte dell’Agenzia delle Entrate. Pendente il giudizio, instaurato avverso i provvedimenti impositivi dinanzi alla competente Commissione Tributaria di primo grado, l’Amministrazione Finanziaria, a tanto legittimata dalla legge, formava il ruolo e lo trasmetteva all’Agente della Riscossione per il recupero coattivo, in via provvisoria, delle maggiori imposte accertate.

Già a partire dal 2010, il Concessionario provvedeva a notificare al terzo, conduttore di un immobile commerciale di proprietà della società accertata, un atto di pignoramento di fitti o pigioni, istituto esecutivo “speciale” contemplato dall’art. 72 del d.p.r. 602/1973.

Nel 2018, la società immobiliare – uscita quasi integralmente vittoriosa dal contenzioso tributario instaurato avverso gli avvisi di accertamento – interpellava l’Agente della riscossione per conoscere l’entità del debito residuo, al netto degli importi già corrisposti dal terzo pignorato, venendo tuttavia a conoscenza della circostanza per la quale il terzo, pur avendo iniziato a versare al Concessionario le somme dovute a titolo di canoni locativi, dal 2012 aveva interrotto il pagamento, seppure in piena vigenza del contratto di locazione.

Per l’effetto, la società immobiliare promuoveva l’azione finalizzata allo sfratto per morosità del conduttore. Nel relativo giudizio, il terzo – costituendosi in opposizione alla convalida – eccepiva la carenza di legittimazione all’azione della società, in quanto asseritamente privata, in forza del vincolo del pignoramento, del diritto a riscuotere i canoni e, con esso, di intimare lo sfratto.

L’adito Tribunale di Vasto, con ordinanza del 14 febbraio 2018, preso atto che il terzo intimato, pur avendo formalmente contrastato la richiesta di convalida, non si era opposto al rilascio dell’immobile e rilevando – seppure implicitamente – la legittimazione attiva della società immobiliare, pur nella ricorrenza di pignoramento sui canoni, ad esercitare il proprio diritto ad ottenere il rilascio del bene locato per inadempimento contrattuale della controparte, ordinava il rilascio immediato ed assumeva i consequenziali provvedimenti per la prosecuzione del giudizio.
L’ordinanza in commento fornisce lo spunto per la disamina di nodi cruciali della procedura espropriativa mobiliare presso terzi, con particolare riferimento alla tutela del debitore.

La riscossione coattiva dei crediti tributari, così come regolata nel testo del d.P.R. n. 602/73, ricalca il modello dell’esecuzione forzata ordinaria di cui al Codice processualcivilistico. Ciò, però, solo nella misura in cui il d.P.R. n.602/73 non preveda regole in deroga alle norme ordinarie. La disciplina della procedura esattoriale presenta, infatti, una serie di elementi di specialità, sotto il profilo del ruolo assegnato al creditore procedente ed al giudice, del titolo che ne legittima l’attivazione e dei soggetti incaricati di seguire la procedura esattoriale. Peculiarità, queste, che si riflettono sulla disciplina delle fasi in cui la procedura esattoriale si articola, tra le quali, in particolare, il pignoramento.

Segnatamente, l’espropriazione forzata mobiliare presso terzi è regolata dalle norme contenute negli artt. 72 e seguenti del Decreto Presidenziale in parola, costituenti norme speciali applicabili in luogo di quelle riportate nel Codice di rito (artt. 543 e ss.).

L’art. 543 del Codice di Procedura stabilisce che il pignoramento sia promosso con “citazione del debitore a comparire davanti al giudice competente, con l’invito al terzo a comunicare la dichiarazione di cui all’articolo 547 al creditore procedente”.

Nella procedura esattoriale, l’art. 72 del d.p.r. 602/1973 (rubricato pignoramento di fitti o pigioni), al primo comma, dispone che “l’atto di pignoramento di fitti o pigioni dovute da terzi al debitore iscritto a ruolo o ai coobbligati contiene, in luogo della citazione di cui al numero 4) dell’ articolo 543 del codice di procedura civile, l’ordine all’affittuario o all’inquilino di pagare direttamente al concessionario i fitti e le pigioni scaduti e non corrisposti nel termine di quindici giorni dalla notifica ed i fitti e le pigioni a scadere alle rispettive scadenze fino a concorrenza del credito per cui il concessionario procede”.

Analoga previsione è contenuta nel successivo art. 72-bis, relativo al pignoramento dei crediti verso terzi, con la necessaria avvertenza per cui, laddove l’art. 72 contempla l’ordine di pagamento diretto quale unica modalità del pignoramento dei fitti o delle pigioni, tale seconda disposizione testualmente prevede il predetto ordine come semplice facoltà dell’Agente della riscossione, opzionabile in alternativa alla procedura processualcivilistica.

Nella procedura esattoriale speciale, dunque, la fase della citazione del terzo è meramente eventuale, giacché il secondo comma del citato art. 72 (cui pure l’art. 72-bis espressamente fa rinvio) la contempla solo “nel caso di inottemperanza all’ordine di pagamento”, ipotesi nella quale “si procede, previa citazione del terzo intimato e del debitore, secondo le norme del codice di procedura civile”.

Con l’obiettivo di assicurare massima celerità ed efficienza alla riscossione dei crediti erariali, dunque, la procedura esattoriale è stata tradizionalmente connotata dalla marcata centralità di ruolo e poteri riconosciuti al creditore procedente, così che il pignoramento (e, nell’espropriazione immobiliare, la vendita) sono effettuati a cura e sotto la responsabilità del creditore, ossia dell’Agente della riscossione, senza necessità di autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria, secondo quanto stabilito dall’art. 52 d.P.R. n. 602/73.

La ratio di favore per la tutela erariale risulta principalmente condensata nella previsione per cui l’atto di pignoramento può contenere l’ordine, rivolto al terzo, di adempiere direttamente all’agente della riscossione: nell’esecuzione esattoriale, laddove il Concessionario formuli l’ordine di pagamento diretto, il terzo non è costituito mero “”custode”dei crediti in attesa di un formale provvedimento di assegnazione del Giudice dell’Esecuzione (come avviene nel pignoramento ex art. 543 c.p.c.), ma risulta vero e proprio soggetto esecutore – per una sorta di novazione soggettiva legale e pur rimanendo integralmente estraneo al rapporto tributario – degli obblighi facenti capo al debitore esecutato.

Appare opportuno segnalare come la doppia possibilità, normativamente concessa all’Agente della riscossione, di procedere nelle forme speciali di cui all’art. 72-bis (riguardante il pignoramento di crediti verso terzi) ovvero in quelle “ordinarie” ex art. 543 c.p.c., sia stata oggetto di sindacato di legittimità dinanzi alla Corte Costituzionale: si è osservato che il debitore esecutato potrebbe godere di una tutela minorata, in quanto la norma speciale, “consentendo all’agente della riscossione di ordinare discrezionalmente al terzo il pagamento diretto, riconosce a detto agente una facoltà che (…) sottrae al controllo del giudice dell’esecuzione la procedura di espropriazione esattoriale mobiliare presso terzi di crediti del debitore” creando così “una irragionevole disparità di trattamento nei confronti degli esecutati in procedure esattoriali alle quali, invece, sono applicabili le diverse modalità di esecuzione mediante previa citazione in giudizio del terzo, previste dagli artt. 543 e seguenti cod. proc. civ.” (Cfr. P. Piciocchi, La nuova “esecuzione forzata esattoriale”, in GT – Riv. giur. trib., 2008, 520, di seguito a Trib. Genova, ord. 11 dicembre 2007, n. 3567). Secondo la Corte delle Leggi, tuttavia, “la facoltà di scelta del concessionario tra due modalità di esecuzione forzata presso terzi non crea né una lesione del diritto di difesa dell’opponente né una rilevante disparità di trattamento tra i debitori esecutati, sia perché questi sono portatori di un interesse di mero fatto rispetto all’utilizzo dell’una o dell’altra modalità e possono in ogni caso proporre le opposizioni all’esecuzione o agli atti esecutivi di cui all’art. 57 del d.p.r. n. 602 del 1973, sia perché non sussiste un principio costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità di regole procedurali” (Ex plurimis, Corte cost., ordinanze n. 67 del 2007 e n. 101 del 2006).

Sebbene la norma abbia superato il vaglio di costituzionalità, la stessa rimessione della questione al Giudice delle Leggi mostra come la speciale procedura esattoriale presenti forti profili di debolezza quanto alla tutela delle ragioni del debitore.

Ciò impone che, nella procedura espropriativa esattoriale, il creditore ed il terzo siano destinatari di specifici doveri ed obblighi, funzionali anche alla tutela dell’interesse del debitore.

Siffatta necessità si ricava in maniera implicita anche dall’orientamento della giurisprudenza di legittimità, reso in tema di procedura di riscossione coattiva a mezzo ruolo, secondo il quale, con l’ordine di pagamento in via diretta rivolto al terzo, viene configurato un pignoramento in forma speciale, che inizia con la notificazione dell’atto al debitore esecutato e al terzo pignorato e si completa con il pagamento da parte di quest’ultimo: qualora l’ordine di pagamento abbia ad oggetto crediti dovuti in forza di un rapporto esistente ma non ancora esigibili, il pagamento ad opera del terzo delle somme già maturate alla data di notificazione dell’ordine tiene luogo dell’assegnazione del credito pignorato, anche con riguardo alle somme dovute dal terzo alle scadenze successive, permanendo la legittimazione dell’Agente della riscossione alla percezione delle stesse fino a concorrenza del credito azionato (C. 2857/2015).

E, come specificato dalla Suprema Corte nella sopra richiamata pronuncia, “non è corretta l’affermazione che la riscossione diretta promossa dall’agente della riscossione si esaurisca «all’interno di un rapporto privatistico a due», che coinvolgerebbe soltanto il creditore procedente ed il debitor debitoris. Nel momento in cui si attribuiscono all’ordine di pagamento gli effetti del pignoramento e si riconosce al debitore esecutato la tutela assicurata dalla notificazione dell’ordine di pagamento e dalla proponibilità delle opposizioni all’esecuzione ed agli atti esecutivi, il primo pagamento da parte del terzo si pone come comportamento concludente atto a sostituire l’accertamento del credito ed a concludere la fattispecie espropriativa, con efficacia satisfattiva immediata quanto agli importi corrisposti e salvo esazione per le somme ancora dovute «alle rispettive scadenze»”.

Sotto il profilo dell’efficacia temporale dell’atto di pignoramento esattoriale, va osservato come la Corte di Cassazione abbia affermato che “l’art. 553 cod. proc. civ. consente, peraltro, l’assegnazione di crediti non ancora sorti ma che verranno a scadenza in forza di un rapporto esistente al momento del pignoramento, quale il rapporto di lavoro. In tale caso, il terzo è obbligato a versare al creditore assegnatario le somme via via maturate in favore del debitore, alle scadenze successive all’emissione dell’ordinanza di assegnazione, fino al completo versamento degli importi liquidati dal giudice dell’esecuzione. Analogamente, l’art. 72-bis comporta che il terzo pignorato, che abbia già ottemperato per le somme per le quali il diritto alla percezione sia maturato anteriormente alla data di notificazione dell’ordine di pagamento, vi dia corso alle rispettive scadenze per le restanti somme, fino a concorrenza del credito per cui l’agente della riscossione procede” (Cass. civ. Sez. III Sentenza, 13 febbraio 2015, n. 2857).

Nel commento alla sopra richiamata decisione di legittimità è stato annotato come “sia il pignoramento ordinario che quello esattoriale sarebbero caratterizzati da una fase satisfattiva immediata (in cui il terzo corrisponde al creditore – spontaneamente o su ordine del giudice – le somme o cose di cui esso era debitore al momento della notifica dell’atto) cui segue una fase pro solvendo per effetto della quale il terzo continua a corrispondere al creditore, sino a concorrenza dell’importo pignorato, i pagamenti successivi, nel rispetto delle scadenze via via maturate” (N. Lancelotti, Sulla durata, per il terzo pignorato, della procedura esecutiva mobiliare promossa dall’Agente della riscossione nel confronto con la procedura esecutiva ordinaria, in Dir. e Prat. Trib., 2016, 2, 822, nota a sentenza Cass. civ. Sez. III Sentenza, 13 febbraio 2015, n. 2857).

La condotta satisfattiva del terzo, in tali termini, viene tratteggiata quale rispondente ad un “duplice” obbligo nei confronti, rispettivamente, del creditore procedente e del debitore: ottemperando all’ordine di pagamento diretto, il terzo soddisfa immediatamente un debito del proprio creditore, ma ciò fa adempiendo, nell’interesse di quest’ultimo, una propria obbligazione.
Circa gli obblighi che incombono sul terzo pignorato, ai fini che rilevano nella presente sede va semplicemente osservato che, nella previsione generale dell’art. 546 del codice di rito, quest’ultimo soggiace agli obblighi che la legge impone al custode.

Differente situazione interessa il terzo pignorato nella procedura esecutiva esattoriale: in tale evenienza, laddove il pignoramento contenga l’ordine di corrispondere i crediti dovuti al debitore direttamente all’Agente della riscossione procedente, il terzo è chiamato ad una condotta positiva, immediatamente satisfattiva della pretesa erariale.

Come visto, nel procedimento esattoriale presso terzi, la fase dell’accertamento giudiziale dell’obbligo del terzo è meramente eventuale e discende esclusivamente dall’inottemperanza all’ordine di pagamento, ipotesi in cui torna ad essere applicabile il procedimento ex art 543 c.p.c., con la citazione del terzo e del debitore.

Dunque, nel caso di inottemperanza del terzo all’ordine di pagamento ed in assenza della sua citazione ad opera dell’Agente della riscossione per l’accertamento dell’obbligo oggetto di pignoramento, i diritti del debitore di conoscere lo stato della procedura ed il sottostante eventuale inadempimento del debitor debitoris risultano fortemente compressi se non, addirittura, azzerati.

Nell’ipotesi delibata dal Tribunale di Vasto, pur essendosi concretizzata l’inosservanza del terzo dell’obbligo di pagamento diretto, l’Agente della riscossione non aveva esercitato il diritto (se di diritto si tratta, ma sul punto si tornerà infra) di citare debitore esecutato e terzo pignorato per la necessaria dichiarazione, così che il debitore ha avuto contezza dell’omessa corresponsione dei canoni da parte del conduttore – e del correlato inadempimento contrattuale di quest’ultimo – solo a distanza di anni.

Il debitor debitoris acquisisce la qualità di terzo esecutato in luogo del debitore, pur rimanendo estraneo alla pretesa sostanziale azionata con il titolo vantato dall’Agente della riscossione: di conseguenza egli è munito di poteri, facoltà ed obblighi che compongono l’azione esecutiva dal lato del creditore procedente o del debitore esecutato (cfr. LUISO, L’esecuzione “ultra partes”, Milano, 1984, p. 374). La doverosa collaborazione del terzo, dunque, si configura quale funzionale all’accertamento dell’esistenza del credito pignorato ed alla conseguente soddisfazione di un debito del “suo” creditore, mediante l’adempimento di una propria obbligazione.

Il terzo, in altri termini, pur rimanendo tale rispetto al rapporto tra creditore proceprocedente e debitore esecutato, viene interessato dal pignoramento solo al fine di servire tutti gli interessi coinvolti nel procedimento esecutivo e, nella specie, il diritto di credito del creditore procedente e quello corrispondente, del debitore esecutato, a vedere adempiuta, per il tramite del terzo, una propria obbligazione. È stato autorevolmente sottolineato come, in ogni sua particolare forma, l’espropriazione di crediti presso terzi abbia sempre quale oggetto “beni facenti parte del patrimonio del debitore” (P. Castoro, Il Processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Giuffrè Editore, 2015, 535), in tal modo evidenziandosi la titolarità già perfetta, in capo al debitore, del credito esecutato, anche se non immediatamente esigibile.

Nel caso in cui il credito oggetto di pignoramento tragga la sua origine da un contratto sinnallagmatico, il debitore esecutato è creditore della prestazione dovuta dal terzo in virtù di un sottostante rapporto negoziale, ma il terzo è chiamato ad adempiervi con condotta satisfattiva nei confronti del creditore procedente.

In altri termini, la notifica di un atto di pignoramento da parte di un soggetto estraneo al rapporto contrattuale non può, in ogni caso e di per sé, determinare l’astrazione del credito pignorato dal vincolo negoziale originario.

Sebbene la percezione del credito sia legalmente impedita, al debitore esecutato, dal vincolo costituito sugli stessi dal creditore procedente, il diritto a che il terzo adempia al pagamento a beneficio del creditore procedente compete sempre al debitore, dal momento che continua ad attenere al momento adempitivo delle obbligazioni nascenti dal sotteso rapporto giuridico. L’ordinanza resa dal Tribunale di Vasto, sul punto, risulta significativa per affermare il principio per il quale, in assenza di pagamento dei canoni direttamente in favore del creditore procedente, l’omissione ascrivibile al terzo rappresenta il presupposto per chiedere la risoluzione per inadempimento del sottostante contratto.

La problematica in esame manifesta ulteriori significativi aspetti giuridici laddove l’Amministrazione Finanziaria procedente in executivis ometta di attivare la procedura di cui al secondo comma dell’art. 72 del più volte richiamato decreto presidenziale.

Sebbene la norma non configuri espressamente un vero e proprio obbligo, a carico del creditore procedente, di provvedere – in caso di inottemperanza del terzo all’ordine di pagamento – alla rituale citazione a comparire del debitore esecutato e del terzo, vengono in rilievo principi di diritto che impongono di considerare la condotta del creditore quale legalmente dovuta.
Primariamente, la disposizione contenuta nell’art. 1206 Cod. Civ., a mente della quale il creditore è costituito in mora non solo quando rifiuta il pagamento offertogli dal debitore ma anche se omette di compiere quanto è necessario affinché il debitore possa adempiere l’obbligazione. La ratio della norma evidentemente consiste nell’obbligo, in capo al creditore, di cooperare con il debitore per non ostacolarne l’adempimento.

In ragione delle considerazioni sopra svolte in ordine alla posizione giuridica delle parti coinvolte nella procedura esattoriale, si ritiene che i principi che informano la richiamata norma rilevino ugualmente, sebbene, nell’ipotesi di pignoramento effettuato dall’Agente della riscossione con la speciale procedura, la condotta del creditore procedente debba essere valutata non con riferimento all’adempimento del debitore quanto, piuttosto, a quello del terzo pignorato.
In via generale, il debitore, laddove il creditore non ponga in essere la condotta che rende possibile l’adempimento, ha il diritto, in presenza di determinate circostanze, di metterlo in mora, ponendo a suo carico le conseguenze economiche negative della mancata esecuzione della prestazione. Quindi, la mancata attuazione del rapporto obbligatorio, cioè dell’interesse del creditore, se dovuta ad un’omissione allo stesso imputabile, darebbe forma ad un diritto del debitore di porre a carico del soggetto attivo del rapporto le conseguenze negative che allo stesso debitore siano potute derivare dal mancato adempimento (Cattaneo, Mora del creditore, in Digesto civ., XI, Torino , 1994, 433; Bigliazzi Geri, Mora del creditore, in EG, XX, Roma, 1990, 1, 2).

In tal senso, a carico del creditore ricorrerebbe un vero e proprio obbligo giuridico di porre in essere quei comportamenti necessari a consentire al debitore l’esecuzione della prestazione: la mora, perciò, non sarebbe altro che la sanzione del creditore per la violazione di un obbligo posto a suo carico (Falzea, L’offerta reale e la liberazione coattiva del debitore, Milano, 1947, 966; Ravazzoni, Mora del creditore, in NN.D.I., X, Torino, 1964, 904).

Secondo altro Autore, invece, il fatto che l’art. 1206 stabilisca che solo la presenza di un motivo legittimo possa giustificare la condotta omissiva del creditore indicherebbe che il potere del medesimo non può essere arbitrario, ma è limitato dalla presenza dell’interesse del debitore alla liberazione dal vincolo obbligatorio. Si tratterebbe, dunque, di un “interesse legittimo” del debitore, a fronte del quale la condotta del creditore, che rifiuta il pagamento offertogli o non compie quanto necessario affinché il debitore possa adempiere, concretizzerebbe un abuso del diritto di credito (Bigliazzi Geri, 1, 2).

Sebbene tali ricostruzioni dell’istituto della mora accipiendi appaiano suggestive, esse non sono state sposate dalla Dottrina maggioritaria e dalla Giurisprudenza, più inclini a qualificare il dovere di cooperazione del creditore come semplice onere collegato all’interesse del debitore all’adempimento (in tal senso, Cass. civ. Sez. II, 8 febbraio 1986, n. 809). Va sottolineato, tuttavia, che anche le pronunce più restrittive, nel senso di escludere una vera e propria obbligazione a carico del creditore di cooperare all’adempimento del debitore, riconoscono il diritto di quest’ultimo al risarcimento del danno, consequenziale alla violazione del dovere generale, per il creditore, “di non frapporre ostacoli alla liberazione del debitore dal vincolo che per l’obbligato costituisce uno stato di soggezione” (ibidem).

D’altro canto, anche sotto il profilo della logicità (e dell’equità sostanziale), non potrebbe accogliersi la conclusione per la quale al debitore sarebbe contestualmente interdetto l’esercizio tanto del diritto oggetto di pignoramento, quanto di quello di pretendere che il creditore procedente sia realmente soddisfatto.

Se, infatti, risponde al vero che il debitore non possa attivarsi autonomamente per il recupero del proprio credito nei confronti del terzo – giacchè, in forza del vincolo del pignoramento, al debitore è impedito di azionare strumenti giuridici per ottenere l’adempimento del debitor debitoris – è altrettanto indubbio che neppure ha a disposizione soluzioni per conseguire una condanna del creditore procedente (unico soggetto legittimato a richiedere e percepire il credito pignorato) ad attivarsi per l’esecuzione.

Evidentemente, le considerazioni che precedono meritano di essere integrate con ulteriori profili giuridici, rilevanti ipotesi in cui il creditore procedente sia l’Amministrazione Finanziaria.
Vengono in rilievo, segnatamente, i principi che governano in via generale l’attività di tutte le Pubbliche Amministrazioni – primo tra tutti quello di buon andamento – ed i criteri direttivi specificamente dettati a carico dell’Amministrazione Finanziaria.

L’art. 10 della Legge 27 luglio 2000, n. 212 (rubricato “Tutela dell’affidamento e della buona fede. Errori del contribuente”), sancisce che “i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”.

La indubbia portata precettiva della disposizione, contenuta nel c.d. Statuto del Contribuente, cui la Suprema Corte costantemente riconnette “specifici obblighi a carico dell’Amministrazione finanziaria” (ex pluribus Cass. civ. Sez. V, Ord. 6 settembre 2017, n. 20813) impongono che quest’ultima – e, per essa, l’Agente della riscossione – sia giuridicamente tenuta ad una condotta osservante il dettame della collaborazione con il contribuente nei rapporti tributari.

I principi che devono informare l’azione amministrativa, dunque, si manifestano tutt’altro che di scarso momento, posto che – ai fini che occupano – può certamente ritenersi che la cooperazione del creditore nell’adempimento, richiesta in via generale dal citato art. 1206 Cod. Civ., vada integrata dai principi di buon andamento della Pubblica Amministrazione e di collaborazione con il contribuente, nel senso di richiedere che l’Agenzia delle Entrate ponga in essere ogni condotta in suo potere per garantire, nel rispetto delle ragioni erariali, anche gli interessi ed i diritti del contribuente.

La responsabilità del creditore procedente nell’espropriazione esattoriale è stata pospositivamente affermata con la disposizione di cui all’art. 59 del d.p.r. 602/1973, a mente della quale “chiunque si ritenga leso dall’esecuzione può proporre azione contro il concessionario dopo il compimento dell’esecuzione stessa ai fini del risarcimento dei danni”. La locuzione “chiunque” utilizzata dal Legislatore non lascia dubbi circa la possibilità che sia lo stesso debitore a rivalersi nei confronti del Concessionario per perseguire il ristoro dei pregiudizi sofferti in conseguenza di una condotta, anche colposa, di quest’ultimo.

In tali termini individuato uno specifico obbligo dell’Amministrazione Finanziaria, è evidente come, nell’ipotesi di pignoramento esattoriale presso terzi, l’Agente della riscossione non possa – se non incorrendo in responsabilità – omettere di intraprendere tutte le iniziative funzionali al recupero coattivo dei crediti pignorati e non versati dal terzo, prima tra tutte la citazione di terzo e debitore di cui al secondo comma dell’art. 72.

Ragionare a contrariis comporterebbe una ingiustificata compressione dei diritti del debitore il quale, in assenza della citazione prevista dal secondo comma della richiamata disposizione, potrebbe non avere contezza delle omissioni del proprio debitore e, comunque, non avrebbe a disposizione alcuno strumento per obbligare il terzo alla corresponsione dei canoni all’Agente della riscossione. Certamente gli è precluso di domandare in via giudiziale il versamento degli importi dovuti dal terzo, giacchè sugli stessi esiste il vincolo del pignoramento che impedisce l’azione di adempimento. Parimenti non ha facoltà azionabili per imporre all’Agente della riscossione di procedere ai sensi del secondo comma dell’art. 72.