Denatalità autoctona: derivante dalla falsa opulenza?

Si parla dello spopolamento dei paesi occidentali, implorando o forzando l’arrivo d’immigrati, magari poi rinchiusi in Sprar o ghetti simili, a vantaggio di moderni schiavisti che vengono definiti cooperative e che sfruttano la presenza di questa gente anche come marionette da circo nelle feste di rifugiati o parate di “fraterna solidarietà”, dando però lavoro precario e spesso malpagato a gente del posto che è stata rifiutata dal Dio Mercato e che osanna questi moderni distributori di manna. Nel contempo, i dirigenti d’ogni ente previdenziale, mortificano la popolazione autoctona, ritenendola incapace di procreare e per questo giustificando la presenza degli schiavi di cui sopra, da adattare ai lavori che gli italiani rifiutano, in nome del versamento di contributi che molto spesso restano un sogno che alberga nelle menti di questi altolocati, atteso che sia difficile costringere i caporali, quando non direttamente i politici locali che li patrocinano più o meno alla luce del sole, a versare il dovuto e che ancor più spesso anche le aziende locali, gravate da un fisco sempre più vorace, arrivino a costringere i propri dipendenti a scendere a compromessi che vuol dire il non vedere ciò che anche le pietre sanno a proposito di buste paga che di legale forse hanno la carta e l’inchiostro con i quali le buste stesse sono state redatte in maniera ovviamente incomprensibile.

Tornando però al mancato ripopolamento autoctono, va detto che quando si poteva parlare di periodo florido, le aspettative dei pargoli erano ridotte alla cieca obbedienza a base di sganassoni, impartita da genitori che procedevano a matrimoni d’interesse, (quando andava bene), da combinarsi in età spesso acerba, ma in grado di obbligare i bollenti spiriti a procreare. Si lasciavano i componenti della generazione futura alla libera arte dell’arrangio, o, come si dice in Molise, a fare i “porcelli di Sant’Antonio”, intendendo per tal azione il lasciar liberi i bambini di accasarsi là dove trovavano un tozzo di pane da consumare con il compagno di giochi, abituale o non. Per non parlare delle bambine, quando non molestate in casa, obbligate fin da piccole a giocare ad imparare a cucinare e ricamarsi il corredo da portare in dote al matrimonio che veniva insegnato come l’unico vero obiettivo da raggiungere nella vita.

Oggi i tempi sono cambiati: se un insegnante molla sporadicamente un ceffone ad un bambino troppo vivace, (sporadicamente, non in maniera seriale), rischia l’arresto; se la scuola si permette il lusso di far notare che un ragazzo non è diligente, il minimo che può accadere è che il preside o l’insegnante che si è permesso tal ardire o meglio entrambi, possono finire l’anno scolastico, non dietro la cattedra, ma in un letto d’ospedale. Se il bambino non dispone di cartella e vestiti firmati, viene considerato sottouomo secondo le teorie di nicciana memoria e viene emarginato, cosa che può capitare anche se l’alunno si permette di essere più bravo del resto della classe che invece di emularlo lo caccia come se si trattasse di un appestato. A tutto ciò, va aggiunto che il mostrare un tenore di vita che spesso molte famiglie non si possono permettere, è un obbligo imposto dai mass media che magari sono i primi a pretendere l’obolo spesso sostanzioso, tradotto in abbonamenti a più televisioni a pagamento o a dispositivi informatici quasi sempre del tutto inutili se non addirittura deleteri per la crescita del pargolo in oggetto, ma che chi è debole nelle proprie decisioni accetta di tener vivo, proprio per quieto vivere.

A che pro chi è avveduto dovrebbe scendere a simili compromessi che più che ripopolare con figli, arrivano ad uccidere direttamente chi dovrebbe procreare?

Vittorio Venditti