di Vittoria Todisco
Dacau, Buchenwald, Auschwitz: luoghi che solo a pronunciarli destano brividi di orrore! Ma nel caso in cui la piet? che suscita lo sterminio degli ebrei, degli zingari, dei Testimoni di Geova, degli omosessuali, degli handicappati, dei malati di mente, dei prigionieri politici eliminati negli oltre 40 mila campi di sterminio nazisti avesse bisogno di una storia, una a noi pi? vicina, per umanizzare una tragedia di dimensioni cos? estese da apparire incredibile e che, soprattutto per merito della cinematografia mondiale, si sta introducendo nelle nostre case, collocandosi nella coscienza di ciascuno di noi finalmente appartenendoci; insomma, se avessimo bisogno di una storia nostra per sciogliere il groppo di dolore che ci stringe la gola e lenire tanto spasimo con il conforto del pianto non ci sarebbe altra storia da indagare se non quella di Elena Alten. E? sempre Ada Labanca a farci da guida: la sua introspezione della vicenda dell?Olocausto ? cos? incisiva che ? come se ci prendesse per mano introducendoci nei campi di concentramento del Molise. In questi luoghi di costrizione la vita ? talmente dura che qualcuno si toglie la vita. ?Due ebrei si uccidono: uno ad Agnone ? del quale, per?, nulla risulta n? dai documenti dell? Archivio di Stato n? dai registri dell? anagrafe del comune, sebbene alcuni agnonesi ricordino ancora il tragico evento ? e l?altro, quello di una donna, Elena Alten, internata libera a Baranello il cui decesso ? totalmente ignorato dall?anagrafe comunale e del suo corpo non si sa neanche dove sia sepolto. Se per la mentalit? occidentale il suicidio pu? apparire un atto di liberazione dalle tragedie della vita, ma non un insulto alla vita ontologicamente intesa, la cultura ebraica, invece, scorge in esso la distruzione di ci? che l?uomo non ? mai stato capace di fare, una intromissione nei diritti del Creatore; il suicidio, come l?assassinio, equivale ad un attacco blasfemo contro l?intera creazione. L?uomo che si uccide afferma che la vita non ? degna di essere vissuta e che il mondo non ? degno di accoglierlo. Eppure la vicenda di Elena non ? quella di una creatura che sfida ?la vita e il mondo? e che cerca di uccidere in se stessa ?l?intero universo?. Elena, donna colta e poliglotta, ? una creatura minuta e bruna; nata a Vienna nel 1888 e vissuta in Germania, arriva in Italia nel 1923 ove spera di poter esercitare la professione di interprete. Nei colloqui con la polizia italiana sostiene di non essere ebrea anche perch? non ? stata mai riconosciuta dai suoi genitori, sebbene li abbia pi? volte incontrati. Nel 1928 produce domanda per ottenere la cittadinanza italiana affinch? possa trovare lavoro come istitutrice o insegnante di lingue. Le consigliano, per ragioni di opportunit? culturale, di indicare nell?istanza i nomi dei genitori, sebbene dai documenti ufficiali risulti essere figlia di N. N.; la dichiarazione suggeritale ? per? per lei fatale: con l?avvento delle leggi del 1938 viene ufficialmente dichiarata ebrea e, iniziata la guerra, internata nel campo di concentramento di Casacalenda. Incomincia cos? il tormento di Elena che, invano, cerca di dimostrare alla polizia la sua arianit?. Nessuno per? le crede. Per tale motivo cresce in lei, giorno dopo giorno, una profondissima disperazione che presto si trasforma in cupa depressione. Chiede ed ottiene, allora, l?internamento libero per ragioni di salute e, cos?, giunge a Baranello. Anche qui, per?, non trova pace. Tutto le appare ostile, specialmente dopo che alcuni funzionari della Questura di Campobasso, probabilmente esasperati dalle sue continue richieste di riconoscimento di arianit? e di trasferimento in sedi di internamento dal clima pi? mite, minacciano di spedirla in Russia per essere reclusa in qualche gulag. Di Casacalenda, tuttavia, le resta il buon ricordo della direttrice del campo alla quale, quasi ancora di salvezza, il 29 marzo 1943 scrive da Baranello come in cerca di aiuto: ?Distinta e cara Signora … fare domanda di trasferimento … non ha nessuno scopo… . Sono disperata ed ho paura di me stessa … Lei lo sa che avevo gi? a Casacalenda paura di fare quello che feci a Roma alla fine del 1937…?. La lettera, poich? ? scritta in tedesco, ? censurata e finisce per essere per sempre conservata nell?archivio dalla polizia campobassana. Il 4 luglio, alle 7 del mattino, nella pi? profonda solitudine, Elena si uccide?.