Cosmologia, “Alesia ed i suoi compagni di viaggio” presentano la riflessione del professor Comucci

di Carlo Comucci*

Per motivi di privacy li chiamerò Alfa e Beta. La loro animata discussione attirò la mia attenzione non tanto per la foga delle loro argomentazioni quanto per la profondità delle tesi sostenute. Alla piccola stazione ferroviaria, in attesa del treno in usuale forte ritardo, era preferibile ascoltare i loro discorsi piuttosto che curiosare in internet sul cellulare. Tanto più che il tema era, ieri come oggi, di grande interesse.

Beta sosteneva che in questi periodi di crisi era assurdo spendere tanti soldi per mandare nello spazio un telescopio, ad osservare cosa poi… Alfa ribatteva che queste obiezioni erano vecchie quanto il mondo e, tanto per non andare troppo indietro nel tempo, portava l’esempio della corsa alla Luna degli anni ’60. Erano gli anni della lotta fra USA ed URSS per la supremazia tecnologica che portarono in dote all’umanità la nascita dell’era della microelettronica, dei computer e dell’azzeramento delle distanze nelle telecomunicazioni. Basti pensare che il computer della NASA che permise ad Armstrong di posare il piede sul suolo lunare aveva una potenza di 16 KB (sedicimila byte!) Oggi una chiavetta di pochi euro ha potenze di 256 e più GB (miliardi di byte!). Per Beta si poteva tranquillamente fare a meno di tutti questi aggeggi inutili che… Eh no, lo interruppe Alfa, se oggi ci stiamo avvicinando alle automobili a guida autonoma (tanto per fare un esempio) è proprio grazie ai progressi della microelettronica. Ma potrei citare anche la telemedicina, le apparecchiature per le diagnosi mediche ecc. Beta continuava a ripetere che non vedeva l’utilità di “buttare dalla finestra” centinaia di milioni di euro solo per avere una visibilità non schermata dall’atmosfera terrestre. Alfa ribatteva che grazie a quella visibilità sono stati fatti passi da gigante non solo nello studio delle galassie più lontane ma anche nella comprensione dell’origine dell’Universo. E’ anche grazie alle osservazioni di questi telescopi orbitanti che siamo riusciti a chiarire molte cose sulla natura dei quasar, delle pulsar, delle nebulose, delle lenti gravitazionali. Per Beta invece poteva essere sufficiente la visione che si aveva del mondo fino al 1600. Fino ad allora era convinzione comune che la Terra avesse circa 6000 anni, che l’Universo comprendesse solo la nostra galassia e soprattutto fosse statico, cioè sempre uguale. In fondo, per soddisfare la curiosità degli scienziati erano sufficienti le teorie filosofiche sulla natura e le origini del nostro sistema solare. Prima o poi tutti si cimentavano ad immaginare la nascita dei corpi celesti come la teoria di J. W. Goethe che immaginava i vari pianeti espulsi dal sole come da una fionda.

Mi resi conto che stavano discutendo del telescopio Hubble (Large Space Telescope) che, Alfa ricordava, lanciato nello spazio nel 1990 dalla NASA, è ancora in esercizio ed ha fornito preziose informazioni sulla natura delle stelle lontane, delle nebulose, delle supernove e soprattutto della misteriosa radiazione cosmica di fondo.

Per Beta erano sufficienti le osservazioni fatte dalla Terra, per esempio dal grande telescopio del Monte Palomar in California. Ignorava però che nessun telescopio a terra, per quanto grande, poteva osservare le radiazioni stellari nella banda dell’ultravioletto in quanto assorbite dall’atmosfera terrestre. In fondo, grazie ai telescopi mandati in orbita siamo riusciti a capire, tra le altre cose, la natura delle nebulose che inizialmente si confondevano con galassie (ad esempio si parlava di nebulosa di Andromeda invece di galassia di Andromeda). Siamo riusciti a vedere la nascita delle stelle all’interno delle nebulose (Fig. 1) e si può dire che solo nel novecento siamo stati in grado di affrontare scientificamente e non solo filosoficamente lo studio del cosmo e la sua evoluzione. Beta: beh, allora spiegami cosa siamo stati capaci di capire sull’Universo che prima non si sapesse. Con grande pazienza Alfa rifletté un attimo e decise quindi di partire dall’inizio.

Tralasciando le teorie cosmologiche squisitamente religiose (le dottrine dell’antico Egitto, quelle indiane, ecc.), quella più importante da cui iniziare è senz’altro la costruzione elaborata dalla civiltà babilonese: la Terra è circondata dall’oceano sul quale poggia la volta solida del cielo dove si muovono il sole, la luna e gli altri corpi celesti. La parte emersa ospita gli esseri viventi mentre in quella sommersa si trova il mondo dei morti (Fig. 2).

Tale visione viene ripresa e perfezionata dai greci che formularono quel modello geocentrico che raggiunse la sua perfetta espressione nell’opera di Tolomeo (II sec. d.C.) e che rimase indiscussa per quasi millecinquecento anni. (Fig. 3).

Con l’Evo Moderno, grazie all’ipotesi di Nicola Copernico (1473 – 1543), alle osservazioni di Galileo Galilei (1564 – 1642), alle leggi di Giovanni Keplero (1571 – 1630) e al fondamentale lavoro fisico-matematico di Isacco Newton (1642 – 1727) si riuscì a formulare quel modello eliocentrico che è sopravvissuto per quasi due secoli pur con tante lacune ed imprecisioni. Ad esempio fino a tutto l’ottocento si pensava che l’Universo fosse piccolo, giovane e statico. Piccolo perché comprende solo la nostra galassia, cosicché anche gli altri oggetti sono solo materiale più o meno luminoso della Via Lattea. Giovane perché la sua età è di poche decine di migliaia di anni. Statico perché le sue dimensioni sono sempre le stesse.

La grande rivoluzione si ebbe con l’ipotesi di Georges Edouard Lemaître (1894 – 1966) ma soprattutto con le osservazioni di Edwin Hubble (1889 – 1953) che lo portarono a formulare la legge che porta il suo nome. Egli analizzò sistematicamente le righe caratteristiche degli spettri della luce emessa dalle varie stelle o galassie. Aspetta, aspetta, lo interruppe Beta: cos’è questa storia degli spettri con le righe?… Hai mai visto un arcobaleno? gli chiese con pazienza Alfa. Bene, la luce che attraversa le goccioline d’acqua rimaste in sospensione nell’aria viene scomposta in tutti i colori visibili che formano lo “spettro” della luce che proviene dal Sole. Ogni corpo, a qualsiasi temperatura, emette radiazioni, onde (Fig. 4) elettromagnetiche e, se adeguatamente riscaldato, emette luce.

Le onde elettromagnetiche hanno una frequenza ν ed una lunghezza d’onda λ che sono legate fra loro dalla relazione λν = c, dove c è la velocità di propagazione della luce (300.000 km/s circa nel vuoto). All’aumentare di λ diminuisce ν in modo che il loro prodotto resti costante (Fig. 5).

Se per esempio riscaldiamo dei vapori di elio, con uno spettroscopio vedremo le righe caratteristiche di quel gas nella banda del giallo. E’ facile capire che dall’analisi spettroscopica della luce emessa da una stella, da una galassia o da un qualsiasi corpo celeste che emetta radiazioni elettromagnetiche si può risalire alla composizione chimica di quella sorgente. Ebbene Hubble osservò che le righe degli spettri della luce emessa da galassie sempre più lontane erano sempre più spostate verso il rosso. Per capire il significato di questi spostamenti basterà ricordare che la frequenza di un’onda emessa da una sorgente che si avvicina ad un osservatore è maggiore di quella in cui la sorgente è fissa; viceversa se la sorgente si allontana allora la frequenza diminuisce. Questo fenomeno, ben noto (si pensi al fischio di un treno che noi sentiamo più acuto o più grave a seconda che esso si avvicini o si allontani) è

conosciuto come effetto Doppler, dal suo scopritore C. A. Doppler (1803 – 1853). Dopo dieci anni di accurati rilevamenti, Hubble si convinse che c’era una correlazione ben precisa fra la distanza delle galassie da noi e lo spostamento verso il rosso delle righe spettrali della loro luce.

* professore emerito di matematica e fisica nei licei di Stato

Nella foto in alto, I pilastri della creazione