Assunti falsamente e sfruttati per lavorare nei campi, arrestati imprenditori e caporali

Sette arresti, tre in carcere e gli altri ai domiciliari, e posto sotto il controllo giudiziario 5 aziende del territorio dal fatturato complessivo di 2milioni di euro con il sequestro di beni mobili e immobili per 1milione di euro. E’ il bilancio dell’operazione che questa mattina, 17 giugno, ha visto i carabinieri della compagnia di San Severo e del Nucleo Ispettorato del Lavoro, supportati dagli elicotteri e coordinati dalla Procura di Foggia stringere il cerchio attorno ad un presunto giro di caporalato e sfruttamento del lavoro che ha interessato anche la zona di Campomarino. Stando alle ricostruzioni effettuate dai militari dell’Arma nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta a Foggia, ci sarebbe stata una “azienda-schermo” con sede ad Orta Nova, che avrebbe assunto fittiziamente braccianti agricoli da impiegare nella raccolta dei prodotti stagionali nei campi della Capitanata. Tale forza lavoro – accertati almeno 150 lavoratori sfruttati nei mesi di indagine – sarebbe stata messa a disposizione di grosse aziende agricole del territorio per perpetuare, seppure con una tecnica più sofisticata, il drammatico rituale stagionale dello sfruttamento nei campi.

Dalle indagini è emerso che tutti i braccianti venivano reclutati da un caporale senegalese nei ghetti della Capitanata, assunti dall’azienda-schermo ortese (il cui fittizio amministratore risulta irreperibile dal 2011) e poi smistati presso aziende compiacenti, a seconda delle necessità. Tale azienda avrebbe operato sotto una cornice di apparente legalità nella gestione dei rapporti di lavoro, data dalla sola comunicazione di assunzione Unilav; ma i braccianti così assoldati venivano destinati ‘a titolo oneroso’ ad altre aziende agricole per raccogliere i pomodori nelle province di Foggia e nella zona di Campomarino, tutti in precarie condizioni igienico-sanitarie e in forte stato di bisogno.

Le giornate di lavoro, si legge su FoggiaToday.it, così come documentato nei mesi di indagine (marzo 2020 – febbraio 2021), non prevedevano pause né dispositivi di protezione. Non era previsto il pranzo e l’acqua fornita loro era quella ‘di pozzo’, quindi non potabile. Il compenso dei braccianti era calcolato a ora (5 euro) o a cassone (4,5 euro) e l’attività veniva videoregistrata per permettere ai datori di lavoro o ai ‘delegati’ sul campo di poter contestare eventuali inadempienze da scalare sul già minimo compenso (venivano scalati 50 centesimi per pause non previste, pomodori sporchi, cassoni riempiti male o posizionati erroneamente sui camion). 

Tutto è partito dalla denuncia sporta da due braccianti della Guinea Bissau che lamentavano le condizioni di sfruttamento cui erano sottoposti – da un tale ‘Nicola’ successivamente indagato e destinatario dell’odierna misura – per la raccolta di prodotti agricoli nelle campagne del Foggiano. Dalle condizioni di sfruttamento che hanno fatto emergere le due vittime, i carabinieri sono riusciti  a disvelare il sistema, apparentemente legale, e a ricostruire tutta la filiera del lavoro irregolare. 

In particolare due agricoltori foggiani, dopo aver creato la società fittizia, funzionale a garantire una facciata di regolarità all’operazione, tramite un cittadino senegalese (il caporale ‘Nicola’) dimorante nella baraccopoli di Borgo Mezzanone reclutava o faceva reclutare centinaia di connazionali anche nel Gran Ghetto – per condurli a raccogliere pomodori presso i propri terreni i terreni di altre aziende committenti – i cui titolari sono oggetto dell’odierna misura – a bordo di furgoni e autovetture vetuste.
I braccianti venivano impiegati nelle campagne di Manfredonia, Stornara, Foggia Borgo Incoronata, San Severo, Ordona ed a Campomarino per essere impiegati a ritmi estenuanti, senza i previsti dispositivi di protezione individuale e soggetti a controlli serrati da parte dei caporali. 

Per eludere i controlli dell’ispettorato e di altri organi ispettivi, venivano stipulati contratti di compravendita di prodotti agricoli e fatturazioni per operazioni inesistenti, in modo da non far apparire i reali datori di lavoro come effettivi titolari dei rapporti con i lavoratori. In pratica, la cooperativa di facciata forniva a titolo oneroso un ‘pacchetto’ per la  raccolta di pomodori in condizioni di sfruttamento, fungendo come un’agenzia interinale senza averne i requisiti ministeriali, favorendo così gli imprenditori ad eludere la legge sul collocamento (assunzioni del personale, l’elaborazione del Libro Unico del Lavoro e delle buste paga, la sottoscrizione di contratti di lavoro e gli adempimenti in materia di igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro e altro) riducendo i costi ai reali datori di lavoro, creando una lesione ai diritti dei lavoratori reclutati massimizzando così i profitti.

Agli indagati – il caporale senegalese e gli imprenditori, tutti del Foggiano (uno dei quali residente a Termoli) – vengono contestati, a vario titolo, i reati relativi all’intermediazione illecita e allo sfruttamento del lavoro. Le complesse ed articolate indagini svolte dai militari del Nor della Compagnia di San Severo e da quelli del Nucleo Ispettorato del Lavoro sono state effettuate con il prezioso supporto di personale del progetto SU.PRE.ME. , che ha messo a disposizione delle indagini un mediatore culturale, impiegato dai carabinieri nelle attività di escussione dei lavoratori sfruttati a seguito di accesso ispettivo presso i terreni, il cui contributo ha avuto un peso considerevole per il buon esito dell’indagine.