Il contributo della docente e giornalista Rita Frattolillo per la rubrica “Alesia ed i suoi compagni di viaggio”
Storico delle emigrazioni, studioso della storia molisana e dell’alimentazione, Norberto Lombardi per decenni ha avuto contatti con le comunità italiane sparse nel mondo e per oltre vent’anni è stato componente del Consiglio generale degli italiani all’estero (CGIE).
Presente sulla stampa e collaboratore di riviste, direttore di alcune collane editoriali, autore, co-autore e curatore di libri riguardanti le migrazioni, l’alimentazione, la Storia e diversi personaggi molisani di rilievo, ha dato ultimamente alle stampe per i tipi di Cosmo Iannone il volume (pp.383) Altrove. Intellettuali molisani nella diaspora.
Come spiega egli stesso nella Presentazione, il libro abbraccia l’arco temporale del Novecento e gli inizi di questo millennio e raccoglie numerosi colloqui- interviste- registrazioni-trascrizioni effettuati nel giro di oltre vent’anni a personalità “di origine molisana che hanno svolto o stanno svolgendo la loro vita e il loro impegno culturale e professionale in diversi paesi del mondo”.
Interviste “estrapolate da un corpus molto più ampio”- specifica Lombardi. Ciò è stato possibile grazie ai numerosi viaggi compiuti, che gli hanno consentito di conoscere e approfondire la realtà variegata delle comunità italiane all’estero, in special modo quelle di origine molisana.
I venti intervistati sono tutti degli intellettuali, e la scelta è stata dettata a Lombardi dalla constatazione che essi sono stati o sono ‘esuli’ volontari, emigrati quasi sempre ‘qualificati’, protagonisti di vicende personali e familiari singolari, che vanno dalle motivazioni genetiche responsabili dell’espatrio a quelle squisitamente interiori.
Tutte motivazioni che hanno condotto a itinerari spesso sofferti e contraddittori.
Quel che salta subito agli occhi, leggendo le varie “memorie”, è che la causa prima della mobilità dei molisani, e cioè la fame in senso stretto, la necessità della sopravvivenza, è stata definitivamente, e per fortunata, archiviata.
Alla fine dell’Ottocento, infatti, periodo clou della grande emigrazione, l’onorevole Rocco De Zerbi, durante la discussione sulla prima legge organica riguardante la materia (1888), gridava la sua preoccupazione per l’abbandono della terra determinata dalla carenza di manodopera.
Ma già nel 1907 l’Inchiesta parlamentare Jarach-Faina, incentrata su questionari che focalizzavano le condizioni dei contadini nelle Province meridionali e nella Sicilia, rilevava il dato assolutamente positivo delle risorse economiche (le “rimesse”) degli “americani”, le quali, oltre a dare fiato alle famiglie rimaste in Molise (diventate nel frattempo proprietarie di casa e terra), rimpinguavano non poco l’economia regionale.
In seguito si sono verificate altre ondate migratorie, che da una parte hanno confermato l’immagine tipica del molisano tenace lavoratore, attaccato alla famiglia e legato alle tradizioni anche religiose, e dall’altra hanno contraddetto nei fatti la presunta mancanza di spirito d’iniziativa nei molisani.
Anzi quest’ultimo stereotipo – ripetuto fino alla noia – contrasta vistosamente con l’effettiva capacità di cambiamento, dimostrata da intere generazioni partite a la buena de Dios, senza avere una rete di protezione nel Paese di arrivo, senza conoscerne la lingua, e spesso costrette a ricominciare da capo da un’altra parte.
Due esempi per tutti: quelli dei due fotografi Tony Vaccaro e Frank Monaco, testimoni e interpreti del Novecento grazie ai loro scatti che hanno catturato azioni di guerra, attentati e mutamenti sociali, e portato alla ribalta personalità e divi di mezzo mondo. Pluripremiati e corteggiati da star, agenzie pubblicitarie e riviste patinate, sono dei veri self-made-men, e da decenni sono i richiesti protagonisti di mostre a tema storico, sociale, e di costume.
Il secondo dopoguerra ha segnato una svolta netta con il passato quanto a capacità di reazione e di penetrazione, nel momento in cui più o meno consapevolmente la mobilità geografica è stata considerata soprattutto come mobilità sociale, come possibilità di riuscita socio-economica e culturale. Un ascensore sociale, insomma. Ed eccoci allora alla “diaspora” alla ‘dispersione’, o forse disseminazione…
Affermarsi ‘altrove’, mettere in gioco le proprie capacità, voler realizzare le proprie attese e aspettative in un’altra parte del pianeta.
Per alcuni dei personaggi intervistati la partenza è stata una sfida per dimostrare a se stessi la propria temerarietà, una dote che va ben oltre il coraggio; per altri la molla è stata la ricerca del cambiamento dopo esperienze deludenti fatte in regione; altre spinte a partire sono state il sentirsi in gabbia, la sensazione di essere troppo stretti in questo lembo di terra che è il Molise; sfuggire alla mediocrità, avere la voglia di esplorare altre realtà con lo spirito del giramondo, costruire la propria vita altrove senza nostalgie, accantonando la lingua italiana a vantaggio dell’inglese; incamminarsi su altri terreni di studio e ricerca, magari confinando mentalmente ed emotivamente il Molise come un “non luogo”.
Dalle diverse narrazioni dei protagonisti – da quelli nati in Molise, come Giose Rimanelli, fino agli immigrati di terza generazione, come Carole Fioramore David – emergono, al di là delle differenti dinamiche insite nei percorsi personali, le difficoltà dell’integrazione nella società di arrivo, la marginalizzazione sociale, linguistica e culturale vissuta; la determinazione a non voler essere etichettato come italiano o molisano, preferendo sentirsi comunque “estraneo” a qualsiasi posto.
Non manca chi si confronta con altre realtà nutrendo sempre uno sguardo ingenuo e un senso di meraviglia; e poi c’è l’esempio eccezionale di chi, entrato in contatto con la realtà degli aborigeni canadesi, i nativi, vede nella loro condizione miserabile e le loro frustrazioni le possibilità che vi erano di aiutarli. E, come avvocato, abbraccia la loro causa di popolo ridotto a un’ombra di ciò che erano, conoscendo molto bene, da immigrato, a cosa possa condurre l’etnocentrismo. La sua condizione di minoritario spiega il suo impegno politico, che segna una svolta decisiva per la società del Québec, arrivando a mutarne i valori in maniera sostanziale.
C’è anche chi tiene alla sopravvivenza e conservazione della propria autonomia culturale e religiosa, considerandola elemento ineliminabile, qualunque sia la distanza percorsa per i propri approdi.
In questa ricca polifonia di voci tutte distinte tra loro, uniche per timbro, profondità e valenza umana, le parole d’ordine sono capacità di adattamento, intercultura, transcultura, ricerca, confronto, stimolo, integrazione, apertura.
E l’identità, allora? Persiste, è cambiata, oppure cancellata ? Cosa ne è – in chi parte – del rapporto tra il bagaglio dell’originario nucleo identitario e l’ambiente nuovo (sotto tutti i punti di vista) in cui egli si trova a vivere e a formarsi?
Anche per la complessa analisi di questo rapporto tra “vecchia” identità e nuova esistenza dell’esule, analisi rigorosa che è frutto della pluridecennale esperienza di Norberto Lombardi anche sul campo, rinviamo volentieri alla lettura del volume Altrove. Intellettuali molisani nella diaspora, che è un prezioso mosaico sulla materia che ogni molisano -per esperienze pregresse o attuali – dovrebbe avere in casa, ma intanto ci accontentiamo di lanciare qualche spunto di riflessione.
È possibile – lascia intravedere Lombardi – che ci sia il rischio di una frattura tra l’emigrazione disinvolta di chi si afferma “altrove” e chi resta in Molise.
La tendenza dei primi sembra quella di sentirsi addosso un’identità più larga, diluita, sicuramente non più soltanto molisana, mentre l’idea del ritorno si veste di tutta una gamma di colori, dal roseo del mito a quello scuro dell’ossessione.
Chi resta, d’altra parte, deve rimotivare la propria “restanza” per evitare il fallimento, deve riprogettare la propria presenza in armonia con i tempi, ricostruire un legame con fili diversi, nuovi rispetto a quelli familiari, spesso tinti soltanto di passatismo e nostalgia. Soltanto in questo modo è possibile ricostruire un dialogo valido e vivificante tra chi resta e chi no, e che forse non sa di avere con sé “un po’ di terra del suo villaggio”…
Rita Frattolillo

NOTA BIOGRAFICA
*RITA FRATTOLILLO ha affiancato all’impegno di docente negli istituti superiori di Campobasso l’attività di giornalista pubblicista (dal 1988) e quella di ricercatrice nell’ambito dialettologico, in quello artistico e storico-letterario del Molise, svolgendo un’intensa attività di divulgazione culturale. Numerose le pubblicazioni, tra cui: il volume sulla pittrice e musicista Elena Ciamarra di cui ha curato per conto dell’Amministrazione Provinciale di Campobasso il coordinamento e la biografia (Arti Grafiche La Regione, 1996), il dizionario Molisani, milleuno profili e biografie (ed. Enne, 1998, con Barbara Bertolini), il volume Il tempo sospeso. Donne nella storia del Molise (Filopoli, 2007, con B. Bertolini), il saggio Donne nel Risorgimento Molisano (2010, n.34, “Rivista storica del Sannio”), Lingua e dialetto a Montagano nel Sannio tra passato e presente (ed. Enne, 2003, con Michela D’Alessio, prefazione di Ugo Vignuzzi), Il dialetto di Campobasso (saggio, nel II vol. dell’opera collettanea in 3vv. Campobasso capoluogo del Molise, ed. Palladino, 2008, a cura di R. Lalli, N. Lombardi, G. Palmieri), Alle radici del dialetto di Riccia. Lingua e dialetto a confronto (saggio, in Lingua e dialetto a Riccia e nell’area del Fortore, ed. Trediciarchi, 2013). Nel 2017 ha dato alle stampe (ed. Gedi) il romanzo Le ali del ritorno. Nel 2020 ha pubblicato, con Iannone di Isernia, “L’infanzia migrante tra realtà e rappresentazione letteraria”.