A che punto siamo con la settimana corta in Italia?

La settimana di 4 giorni comporterebbe benefici alla produttiva, al lavoratore e all’ambiente, ma in Italia dobbiamo ancora fare i conti con gli straordinari non retribuiti

di Giusy Spadanuda

Dopo la Spagna che aveva riaperto il dibattito già nel 2021 proponendo un test di 3 anni, ecco che si torna a parlare della settimana corta anche in Italia dopo che Intesa San Paolo ha annunciato a gennaio di quest’anno di voler proporre ai suoi dipendenti un aumento del lavoro flessibile da casa e di una settimana lavorativa di 4 giorni a discapito di un’ora lavorativa in più giornaliera.

Dal 1908, anno in cui per la prima volta un’azienda americana decise di introdurre la settimana lavorativa di 5 giorni per permettere anche ai dipendenti ebrei di osservare il giorno di riposo, il sabato sabbatico, è passato più di un secolo, eppure i Paesi in cui è operativo il modello della settimana corta sono solo Giappone, Scozia, Spagna, Belgio e Islanda. In Europa al momento Francia e Regno Unito stanno considerando l’opzione portando avanti degli esperimenti piloti e tra questi, quello condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Cambridge su 61 aziende ha mostrato risultati incoraggianti. Lo studio ha coinvolto 2900 lavoratori in tutto il Regno Unito che per 6 mesi, da giugno a dicembre 2022, hanno ridotto l’orario lavorativo del 20% a parità di salario e i risultati parlano da sé: il 92% delle aziende ha dichiarato di voler continuare con la settimana corta di 4 giorni, mentre 18 di queste aziende vogliono adottare la nuova modalità in maniera permanente. «Questo momento è fondamentale per la transizione verso una settimana lavorativa di quattro giorni» ha affermato il direttore dell’iniziativa di 4 Day Week Campaign, «In molti settori diversi i risultati dimostrano che la settimana corta a parità di stipendio funziona. È di certo arrivato il momento di cominciare ad adottarla in tutto il paese».

Lo studio ha dimostrato come oltre ad aumentare gli introiti (su 23 aziende che hanno fornito i dati si registra un aumento dell’1,4% dei ricavi), la scelta della settimana corta comporterebbe livelli di stress da lavoro minori (il 39% dei lavoratori ha spiegato di essere meno stressato rispetto al regime lavorativo precedente) e una riduzione del 65% nelle richieste di giorni di malattia. Secondo un report del collettivo Platform l’impatto positivo della settimana corta ricadrebbe anche sull’ambiente data la non necessità di spostarsi in auto per raggiungere il lavoro e, secondo stime ufficiose, potrebbe portare ad un calo delle emissioni di CO2 pari a 127 milioni di tonnellate all’anno entro il 2025.

Ci si chiede quindi se la settimana di 4 giorni sia possibile anche in Italia dopo che l’Inapp, Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, ha recentemente definito in uno studio gli orari lavorativi degli occupati italiani “antisociali”, che mettono in conflitto la disponibilità al lavoro con la vita privata e quindi sociale. Dallo studio emerge infatti che gli straordinari vengono adeguatamente retribuiti solo al 15,9% degli intervistati e che all’8,1% di loro il lavoro extra è imposto.

Un triste spaccato della nostra cara Italia che potremmo ben sintetizzare con la strofa della canzone portata a Sanremo di Di Martino e Colapesce «Ehi ti va di uscire stasera? Ma io lavoro», perché in Italia è così: o hai un lavoro e lavori troppo, o non ce l’hai.